| I
    magazzini delle Comete Il
    dato storico più facilmente rilevabile a proposito delle comete è, senza dubbio, tutta
    quella congerie di superstizioni e credenze popolari che ne facevano minacciosi segni
    celesti di sventura, situazione nella quale certamente giocava un ruolo fondamentale il
    carattere decisamente anomalo di questi fenomeni celesti.A differenza dei pianeti, facilmente identificati sulla sfera celeste, per le comete si
    trattava di apparizioni improvvise ed imprevedibili, apparentemente al di fuori di ogni
    possibile regola: Galileo stesso, nel 1623, le considerava "apparenze prodotte dai
    raggi solari".
 La svolta decisiva fu impressa da Newton e Halley alla fine del XVII secolo allorchè,
    attraverso lo studio dettagliato delle orbite di alcune comete, giunsero alla conclusione
    che tali orbite erano ellittiche, dunque paragonabili ai moti periodici dei pianeti.
      Questo significava che per alcune di esse erano ipotizzabili precedenti passaggi
    (confermati dall'analisi storica) e prevedibili future apparizioni (puntualmente
    avvenute).
 Ormai a pieno titolo anche le comete entravano a far parte del gruppo di corpi gravitanti
    attorno al Sole con orbite perfettamente descritte dalle leggi di Keplero.
 Lo studio analitico delle orbite delle comete suggerì subito, oltre al fatto di essere
    caratterizzate da un'elevata eccentricità orbitale (il che significa orbite fortemente
    ellittiche), la possibilità di operare una prima classificazione di questi oggetti in
    base al valore del periodo orbitale.  Si identificarono così le comete a lungo
    periodo, caratterizzate da orbite con periodi superiori a 200 anni, e le comete a corto
    periodo, i cui ritorni al perielio erano più frequenti e, comunque, inferiori a 200 anni.
 Il gruppo più numeroso è rappresentato dalle comete a lungo periodo, che costituiscono
    gran parte (84%) delle comete con orbite conosciute.  Esse entrano nella zona
    planetaria del Sistema Solare con qualsiasi angolazione, inclinazione casuale rispetto
    all'eclittica, e circa il 50% è caratterizzato da rivoluzione retrograda.
 Pur con l'estrema limitatezza dei dati a disposizione (una ventina di comete a lungo
    periodo delle quali erano note le orbite originarie), nel 1950 J. H. Oort presentò uno
    studio sulla provenienza delle comete: oggi, anche se con alcune correzioni, il quadro
    tracciato dall'astronomo olandese non è stato sostanzialmente modificato.
 Partendo dallosservazione della casualità delle caratteristiche orbitali, Oort concluse
    che la zona di provenienza dovesse essere una nube sferica (la NUBE DI OORT, appunto);
    analizzando poi le distanze degli afeli delle comete a lui note nel 1950 determinò il
    raggio del guscio di maggiore densità di questa nube, quantificandolo in 40.000 U.A.
 Tale ipotesi è confermata anche dalle più recenti osservazioni: le orbite delle nuove
    comete indicano per tutte una provenienza da questa Nube, il cui raggio viene oggi stimato
    in oltre 50.000 U.A.  Attualmente si distinguono nella Nube di Oort due differenti
    regioni chiamate rispettivamente Nube Esterna e Nube Interna.
 La Nube Esterna è più o meno sferica e si estende a partire all'incirca da 20.000 U.A.:
    la sua popolazione è stimata in 2x1012
    oggetti, circa il 40% della popolazione originaria.
 La Nube Interna si stima contenga 2x1012-1013 comete; la sua localizzazione è tra
    3.000 e 20.000 U.A. e, a differenza di quella Esterna, non avrebbe una forma sferica, ma
    più schiacciata, a forma di toro.
 L'ipotesi iniziale di Oort prevedeva che le comete potessero essersi formate nella Fascia
    asteroidale ed in seguito allontanate dal Sistema Solare dall'azione gravitazionale di
    Giove.  Ciò avrebbe richiesto la formazione di un'enorme massa di comete in quanto,
    statisticamente, quelle espulse definitivamente dal Sistema Solare avrebbero dovuto essere
    molte di più di quelle rimaste nella Nube di Oort.
 Gioca a sfavore di questa ipotesi anche una valutazione della temperatura che doveva
    prevalere vicino a Giove in quanto porterebbe ad escludere la formazione di molecole più
    complesse di quella dell'acqua.
 Secondo Cameron (1976) le comete si sarebbero formate direttamente nella Nube di Oort; a
    grandi distanze dal Sole, infatti, il gas in via di collasso della nebulosa solare
    primordiale non avrebbe avuto la densità sufficiente da permettere una aggregazione in
    corpi piuttosto grandi, ecco dunque che tale aggregazione si sarebbe arrestata dando
    origine ai nuclei cometari.  Lo stesso Cameron, però, suggerisce un possibile
    meccanismo alternativo: esso prevede che la nebulosa iniziale fosse frazionata, vale a
    dire costituita da un frammento centrale più grande (che poi darà origine al Sole e al
    disco protoplanetario) e da frammenti di dimensioni minori (che avrebbero in tal modo
    originato delle "nebulose cometarie") orbitanti attorno ad esso.  Sarebbero
    queste nebulose (a forma di disco) i luoghi di formazione delle comete, ed è da queste
    nebulose orbitanti intorno al Sole che verrebbero estratte, attraverso i meccanismi
    perturbativi descritti più avanti, le comete a lungo periodo (Figura 10 - Cameron, L'origine
    e l'evoluzione del Sistema Solare, pag. 30).
 
 
      
        |  |  
        | 
          Figura 10Ipotesi di Cameron sulla formazione delle comete:
 A) frammenti di nebulosa originaria orbitanti intorno al frammento principale
 B) fase di addensamento (formazione di dischi)
 C) situazione dopo la "pulizia" operata dal vento T-Tauri.
 | Un'altra ipotesi (Fernandez e Ip, 1983) lega la formazione della Nube di
    Oort all'aggregazione più lenta di Urano e Nettuno rispetto agli altri pianeti.  
    Nella zona di formazione di questi pianeti vi era una elevata disponibilità di
    planetesimi ed il meccanismo di aggregazione era caratterizzato da una bassa efficienza a
    causa dell'assenza di gas (situazione ben diversa da quella che aveva portato alla
    rapidissima accrezione di Giove e, successivamente, di Saturno).  Questi due fattori
    avrebbero fatto sì che i planetesimi potessero risentire degli effetti gravitazionali di
    Urano e Nettuno (anche se di dimensioni inferiori alle attuali) a tal punto da essere
    lanciati su orbite già paragonabili a quelle dei corpi costituenti la Nube di Oort.Si può comunque affermare che la Nube Esterna di Oort segna il confine del Sistema Solare
    ed è plausibile pensare che essa possa estendersi fino a coprire circa 1/3 della distanza
    da Proxima Centauri, vale a dire circa 80.000 U.A.
 E' inevitabile che a queste enormi distanze dal Sole le comete possano facilmente essere
    perturbate nel loro moto.  I due fattori fondamentalmente responsabili della
    perturbazione del moto sono:
 1. Il passaggio ravvicinato accanto al Sole di un'altra stella
    (evento che si verifica con frequenze tipiche di alcuni milioni di anni);
 2. Forza mareale della Via Lattea (evidenziata dalla tendenza delle
    nuove comete ad evitare il piano galattico ed i suoi poli).
 Il moto del Sole nella Galassia, infatti, è caratterizzato anche da una componente
    verticale attraverso il disco: nel tempo in cui il Sole effettua una rotazione completa
    intorno al centro galattico (T~3x108
    anni) esso compie quattro o cinque oscillazioni sopra e sotto il piano galattico (Gratton,
    1978), e questi passaggi, con una periodicità di circa 30 milioni di anni, portano una
    leggera perturbazione nella Nube.  Per inciso è proprio di tale entità la
    periodicità che si tenta di spiegare ricorrendo all'ipotesi-Nemesi in merito alle
    periodiche estinzioni di massa (periodicità per altro ancora tutta da confermare) che
    hanno caratterizzato l'evoluzione biologica sul nostro pianeta e alle quali si fa sempre
    riferimento parlando del rischio di impatto di corpi celesti con la Terra.
 Questo "disturbo" della situazione dinamica delle comete può avere conseguenze
    tra loro opposte: o la cometa viene spostata su un'orbita iperbolica, dunque viene slegata
    gravitazionalmente dal Sole ed espulsa dal Sistema Solare, oppure viene sospinta verso la
    zona dei pianeti dove potrà di nuovo subire profonde modifiche orbitali.
 Nello stesso periodo in cui Oort avanzava la sua teoria, vi era chi ipotizzava l'esistenza
    di un grande anello di detriti primordiali oltre l'orbita di Nettuno, una sorta di
    "anello saturniano" che cinge il Sistema Solare, costituito da detriti che non
    avevano potuto condensarsi in grossi corpi: la teoria proposta nel 1951 da G. Kuiper (da
    cui la definizione di KUIPER BELT) e ancora prima, nel 1949, da K.E. Edgeworth, si
    dimostra oggi corretta anche grazie all'apporto delle osservazioni dell'H.S.T.
 La Fascia di Kuiper viene attualmente localizzata tra l'orbita di Nettuno e 100 U.A., con
    la presenza dunque di una lacuna tra la stessa Fascia e la Nube Interna di Oort. La
    popolazione caratteristica della Kuiper Belt sarebbe costituita sia da oggetti molto
    piccoli (raggio di pochi km) che da corpi di dimensioni maggiori (50-200 km).
 La scoperta di questi corpi è praticamente preclusa all'osservazione da Terra, tranne,
    forse, per quelli di dimensioni maggiori, come dimostrano le scoperte inaugurate da
    D.Jewitt e J.Luu nel marzo 1992 con l'identificazione di 1992 QB1. Indispensabile,
    pertanto, il ricorso all'osservazione spaziale. Ed è proprio grazie alle prestazioni
    consentite dall'H.S.T. che si sono identificati, in orbite situate oltre quella di
    Nettuno, 29 oggetti il cui raggio, ipotizzando una albedo del 4%, è stato stimato in 5-10
    km (Cochran et al., 1995).
 Un approccio statistico basato sulle scoperte effettuate finora conduce ad ipotizzare,
    nella regione compresa tra 30 e 50 U.A., l'esistenza di una popolazione di ~3.5x104 oggetti tipo QB1 (vale a dire corpi
    con raggio compreso tra 50 e 200 km) e di una popolazione cometaria (oggetti con raggio di
    1-6 km) di ~1010 elementi (Stern,
    1995).
 Questi oggetti sembrano confinati in un disco abbastanza sottile nei pressi del piano
    dell'eclittica, e questo non può che deporre a favore dell'identificazione di questa zona
    con il serbatoio da cui provengono le comete a corto periodo. Una ulteriore prova a favore
    di questa ipotesi proviene dalle integrazioni numeriche: esse hanno mostrato la stabilità
    dinamica per una significativa frazione degli oggetti che si sono formati nella Kuiper
    Belt, ma nel contempo hanno evidenziato la possibilità, in seguito a piccole instabilità
    gravitazionali indotte dai pianeti giganti, che questi oggetti possano rifornire
    adeguatamente l'attuale popolazione delle comete a corto periodo (Stern, 1995).
 L'importanza di queste scoperte (Cochran et al., 1995), risiede nel fatto che è la prima
    volta che oggetti delle dimensioni delle comete a corto periodo vengono individuati nella
    loro zona di origine. Ed è anche la prima volta che si riesce ad identificare su basi
    osservative una regione del Sistema Solare quale origine delle comete a corto periodo. Da
    quanto detto appare evidente come, allo stato attuale, sia ormai considerata certa
    l'esistenza di un disco di materia nella periferia della zona planetaria, proprio come
    suggerito da Edgeworth e Kuiper negli anni '50.
 Non è sempre stato così automatico il collegamento tra le comete, soprattutto quelle a
    corto periodo, e le regioni più periferiche del Sistema Solare (Nube di Oort o Fascia di
    Kuiper); si è tentato, infatti, più volte di identificare altri serbatoi più vicino al
    Sole, ma con risultati non sempre accettati dalla comunità scientifica. Ricordiamo a
    questo proposito la teoria dell'astronomo sovietico S.K. Vsekhsvyatskii che, negli anni
    '70, ipotizzava un'origine legata ad eruzioni vulcaniche avvenute sui pianeti maggiori o
    sui loro satelliti (Maffei, 1977). In quegli stessi anni Rabe ipotizzava che una possibile
    sorgente delle comete a corto periodo potesse essere identificata nei meccanismi di
    evoluzione dinamica degli asteroidi Troiani la cui somiglianza fisica con i nuclei
    cometari spenti aveva già portato ad ipotizzare un meccanismo inverso, vale a dire la
    cattura di nuclei cometari da parte di Giove.
 Recenti simulazioni dinamiche (Marzari et al., 1995) hanno cercato di valutare in modo
    attendibile l'efficienza del meccanismo di "evaporazione" dei Troiani quale
    possibile sorgente delle comete a corto periodo, ma le conclusioni non sono esaustive,
    anche per la scarsa conoscenza dei parametri reali di questi asteroidi. Resta comunque il
    dato di fatto che il meccanismo evolutivo collisionale testato si è mostrato in grado di
    immettere una significativa frazione dei membri delle famiglie simulate in orbite
    cometarie caotiche.
 Si sono sempre avanzati seri dubbi sul fatto che le comete a corto periodo possano aver
    avuto origine da quel gigantesco serbatoio di comete che è la Nube di Oort. L'analisi dei
    loro parametri orbitali (soprattutto il basso valore dell'inclinazione) solleva, infatti,
    forti perplessità sulla possibilità che un'orbita inizialmente caratterizzata da
    inclinazione casuale (in quanto proveniente da una nube sferica) possa essere modificata
    ed appiattita in modo così efficiente dalle perturbazioni planetarie.
 In un recentissimo studio, A. Stern ed H. Campins (1996) identificano due possibili
    regioni che costituiscano il serbatoio delle comete a corto periodo:
 1. una prima regione è la zona oltre l'orbita di Nettuno, nella quale le
    perturbazioni dei pianeti giganti sono in grado di modificare le eccentricità delle
    orbite su scale di tempi comparabili all'età del Sistema Solare.  E' questa
    stabilità del meccanismo su lunga scala, infatti, il criterio principale di
    identificazione del luogo di origine per le comete a corto periodo.
 2. la seconda regione è identificabile con il lento evaporare dinamico dei
    Troiani, ma il meccanismo di estrazione di oggetti da questa seconda zona, però, stando
    alle simulazioni dinamiche cui si accennava in precedenza (Marzari et al., 1995), sembra
    molto meno efficiente.
 Le recentissime scoperte di oggetti tipo-Halley nella Kuiper Belt (Cochran et al., 1995) e
    le valutazioni dinamiche sulla popolazione ivi collocata (Stern, 1995) non fanno altro che
    deporre a favore della prima ipotesi. L'analisi dinamica, inoltre, suggerisce che la
    popolazione cometaria non sia primordiale, bensì il prodotto di un processo collisionale
    a cascata, che ha rifornito il numero di piccoli corpi (~ 1 km) inizialmente carente.
    Accettando, però, per le comete a corto periodo una origine più prossima a noi della
    Nube di Oort non possiamo non ipotizzare per esse una composizione chimica che le possa
    differenziare dalle comete a lungo periodo.
 Un tassello certamente da non trascurare di questo mosaico che si va componendo è proprio
    la recente scoperta della forte presenza di etano (C2H6) prodotta dalla zona nucleare della cometa
    Hyakutake, già interpretata proprio come discriminante di possibili differenziate
    tipologie di comete (Mumma et al., 1996).
 Studi di laboratorio relativi alla possibilità di intrappolamento di gas durante la
    formazione di ghiaccio a temperature molto basse vengono utilizzati per simulare i
    meccanismi di formazione dei nuclei cometari a diverse distanze dal Sole e a tale
    proposito si è notato che la temperatura gioca un ruolo fondamentale sia per quanto
    riguarda la quantità totale dei gas sia le relative proporzioni.  Poichè la cattura
    di N2 è inefficiente, tutti i
    planetesimi formatisi allinterno di Nettuno sarebbero caratterizzati da carenza di azoto,
    somigliando in tal modo, per quanto riguarda i valori del rapporto C/N, ai pianeti
    interni.
 Dall'analisi di questo rapporto, Owen e Bar-Nun (1995) traggono spunto per ipotizzare, in
    virtù del luogo dorigine, tre differenti tipologie cometarie:
 
      
        | Tipo | Zona di formazione | Temperatura di formazione
 | Attuale collocazione | C/N |  
        | I | Giove - Saturno | 100 K | principalmente sfuggite (*) | 20±10 |  
        | II | Urano - Nettuno | 50 K | Nube di Oort | 20±10 |  
        | III | Transnettuniana | 30 K | Kuiper Belt | 3 | 
      
        (*) alcune di esse nella Nube di Oort. Per quanto riguarda la composizione chimica, i due ricercatori propongono i seguenti
    tratti caratteristici per le diverse tipologie delle comete: 
      
        | Tipo I | - mancanza di N2,
        CO, gas nobili e sostanze organiche volatili a causa della temperatura troppo elevata
        nella zona della loro formazione; - presenza di CHON;
 - possibilità che abbiano intrappolato ammoniaca ed altri composti dell'azoto.
 |  
        | Tipo II | - piccole quantità di N2 ,CO e gas nobili; - presenza di CHON.
 |  
        | Tipo III | - miscuglio di N2, CO e gas nobili in proporzione solare; - presenza di CHON.
 | Suggeriscono inoltre che anche il rapporto N2 / CO possa fornire indicazioni
    sul luogo d'origine della cometa in quanto le comete "nuove" (provenienti cioè
    dalla Nube di Oort) presenterebbero valori di tale rapporto sistematicamente più elevati
    di quelli rilevabili per le comete a corto periodo.Tale previsione viene collegata ad un duplice meccanismo di produzione di CO: da un lato
    vi è una sorgente di tipo molecolare (una possibile molecola-madre può essere H2CO) caratterizzata da una produzione
    sostanzialmente costante, dall'altro lato una sorgente diretta, la perdita, cioè, di gas
    intrappolato nei ghiacci cometari, il cui rilascio è molto rapido. I ripetuti passaggi al
    perielio finirebbero con lo svuotare la cometa dei gas intrappolati (CO e N2), mentre la produzione molecolare
    rimarrebbe pressochè invariata e questo fatto comporterebbe la diminuzione del rapporto N2 / CO.
 Si potrebbe, inoltre, ricondurre lelevato valore del rapporto C/N tipico dell'atmosfera
    della Terra e di Venere all'apporto di materiale da parte delle comete di tipo I, mentre
    l'apporto dei gas nobili deve necessariamente essere spiegato con le altre tipologie
    cometarie.
 Acquista dunque importanza cruciale, tentando di ricostruire la composizione delle
    atmosfere planetarie originarie, la valutazione dell'apporto degli oggetti di tipo
    cometario attraverso il meccanismo degli impatti; sono questi eventi che hanno contribuito
    in modo determinante alla composizione delle atmosfere dei pianeti di tipo terrestre.
      E un dato ormai accettato da tutti, infatti, che le attuali atmosfere dei pianeti
    di tipo terrestre non sono quelle primitive, ma, nel corso del tempo, si sono susseguite
    varie atmosfere la cui formazione e rimozione è stata pesantemente governata dagli
    episodi impattivi. Probabilmente l'unico corpo dell'intero Sistema Solare che ha
    trattenuto l'atmosfera originaria è Titano (Taylor, 1992), e a tale proposito si spera
    darà indicazioni esaurienti il modulo Huygens (parte integrante della missione Cassini)
    destinato a posarsi sulla superficie del satellite di Saturno nel novembre 2004.
 Una delle difficoltà da superare nel tentativo di ricostruire la composizione delle
    atmosfere planetarie primitive è data dalla presenza di inevitabili reazioni chimiche tra
    i vari componenti, con la conseguente alterazione delle sostanze presenti. A questa
    tipologia di mutazioni sfuggono i gas nobili, e questa peculiarità li rende ottimi e
    attendibili indicatori per i tentativi di ricostruzione della composizione originaria. La
    provenienza di Argo, Krypton e Xeno è sempre stata tradizionalmente individuata nei
    fenomeni meteoritici, ma un problema irrisolto era rendere ragione della bassa abbondanza
    dello Xeno rispetto agli altri gas. La spiegazione proposta da Owen e Bar-Nun (1995) è
    che l'apporto imputabile alla sorgente meteorica (condriti carbonacee) sia tale da
    giustificare le quantità attualmente rilevabili di Xeno e, pertanto, si debba ricercare
    una sorgente addizionale in grado di rendere ragione della maggiore abbondanza di Argo e
    Krypton, sorgente che i due ricercatori identificano proprio nel contributo cometario nel
    periodo iniziale di intenso bombardamento.
 Un aspetto estremamente importante del problema dell'apporto cometario all'attuale
    composizione del nostro pianeta è legato alla individuazione della provenienza
    dell'acqua, elemento indispensabile per lo sviluppo della vita, ma l'approfondimento di
    tale discorso è rimandato alla trattazione più generale del problema degli impatti di
    comete e asteroidi con la Terra.
 Fasi evolutive finali
 Dopo averne analizzato la provenienza, è
    naturale chiedersi quale sarà la destinazione ultima delle comete, la tappa finale del
    loro percorso evolutivo.La situazione certamente meno traumatica che possiamo ipotizzare per una cometa è
    sicuramente quella che prevede l'esaurimento del materiale volatile di cui è
    costituita o l'impossibilità per i gas di abbandonare il nucleo cometario.  I
    ripetuti passaggi nei pressi del Sole fanno sì che il calore e l'azione del vento solare
    disperdano nello spazio i materiali volatili e le polveri, dando luogo in tal modo alle
    spettacolari apparizioni di questi corpi celesti visibili dalla Terra. La lunghezza della
    vita di una cometa è dunque, in questo caso, influenzata dalla quantità di materia
    iniziale e dal ritmo di perdita di massa, fattore, questo, strettamente legato al valore
    del perielio, al tempo che la cometa trascorre nei dintorni del Sole ed al numero di
    passaggi su quell'orbita. Una volta esaurito il materiale volatile, la cometa perderebbe
    la sua caratteristica essenziale trasformandosi in un corpo tipicamente asteroidale che
    non modificherebbe la propria orbita, ma risulterebbe difficilmente individuabile dalla
    Terra.
 
  Da un confronto di orbite cometarie con alcune orbite
    di asteroidi (soprattutto alcuni N.E.A.) emerge qualcosa di più di un semplice sospetto
    che si possa trattare di nuclei di comete a corto periodo ormai spenti catturati
    dall'azione perturbatrice della Terra o sospinti in questa orbita dai già citati
    meccanismi dinamici delle risonanze. Di questa possibilità si è già parlato a proposito
    dell'asteroide 4179 Toutatis e del gruppo dei Tauridi; un confronto grafico tra l'orbita
    della cometa Encke e quella dell'asteroide 2212 Hephaistos (un oggetto Apollo,
    appartenente anch'esso ai Tauridi, che, con diametro di 8.7 km, è probabilmente il
    maggiore degli Earth-crosser conosciuti), si può notare la effettiva somiglianza delle
    due orbite (Figura 11 - Pancaldi, Vagabondi del cielo, pag. 90). Situazione analoga all'esaurimento del materiale volatile si ha anche nel momento in cui
    la crosta di materiale inerte sulla superficie del nucleo raggiunge un tale spessore da
    impedire ogni ulteriore fuoruscita di materiale volatile.
 Un secondo possibile scenario per la fine di una cometa può essere quello che comporta
    una modifica della struttura del corpo celeste.  Con questo termine intendo un
    duplice fenomeno: da una parte una frammentazione limitata del nucleo cometario,
    dall'altra una polverizzazione totale, e di ambedue queste situazioni possiamo avere
    riscontri osservativi. Un esempio della frammentazione limitata del nucleo è costituito
    dalla Ikeya-Seki (1965), che penetrò nella corona solare passando a circa 450 mila km
    dalla superficie del Sole, e al suo riapparire mostrò il nucleo spezzato in due. La
    differenziazione dei due nuclei cometari era completa, come dimostra il fatto che le due
    nuove comete erano caratterizzate da periodi diversi (878 e 1055 anni).
 Un secondo esempio ancora più eclatante della possibilità di frammentazione del nucleo
    di una cometa è rappresentato dalla cometa West (1975), il cui nucleo si suddivise in 4
    parti dando luogo così ad altrettante nuove comete.
 L'ultimo evento di questo tipo è avvenuto verso la metà di novembre 1995 ed ha
    riguardato la cometa Schwassmann-Wachmann 3. Questa cometa era tra quelle osservate con
    particolare cura perchè avrebbe potuto essere un possibile obiettivo di una missione
    spaziale dell'ESA riguardante lo studio ravvicinato di un nucleo cometario (Missione
    ROSETTA in programma nel primo decennio del prossimo secolo).
 Dalla osservazione della Schwassmann-Wachmann 3 (Osservatorio di Meudon) erano emersi nel
    settembre-ottobre 1995 alcuni dati inattesi, vale a dire una intensa produzione di
    molecole di ossidrile OH ed un elevato incremento di magnitudine (una luminosità circa
    1000 volte maggiore del previsto).   L'osservazione effettuata con strumenti
    più potenti e con l'impiego del CCD (ESO 3.5 m NTT) ha messo in evidenza (12.12.1995) la
    frammentazione del nucleo in 3 distinte parti, alle quali se ne aggiungeva una quarta
    scoperta con osservazioni nel lontano IR (10 micrometri). Della frammentazione questa
    volta non si può incolpare Giove (come nel caso della Schoemaker-Levy), ma la causa è
    presumibilmente da imputare a stress termici che hanno interessato l'interno del nucleo in
    occasione del passaggio al perielio (settembre 1995) ad una distanza di 0.93 U.A. dal
    Sole. La presenza di grosse fenditure nella struttura del nucleo avrebbe consentito, nel
    momento di maggiore irraggiamento, l'evaporazione di una grande quantità di materiale
    interno e questo fenomeno avrebbe ulteriormente ingrandito le crepe scatenando in tal modo
    il processo disgregativo.
 Il verificarsi della frammentazione del nucleo ha come inevitabili risvolti non solo la
    riduzione di massa del nucleo cometario con la conseguente riduzione della vita della
    cometa (anche se questo è certamente l'aspetto più evidente), ma anche il forte
    squilibrio strutturale indotto dalle fratture, responsabile di situazioni molto più
    catastrofiche.
 E' il caso della cometa di Biela, una cometa a corto periodo (6.7 anni) scoperta nel 1826,
    accomunata a rilevazioni di passaggi antecedenti (rispettivamente del 1772 e del 1805) ed
    in seguito osservata regolarmente fino al 1845, anno in cui si verificò il fenomeno di
    frammentazione del nucleo in 2 parti. Le due nuove comete furono osservate nuovamente al
    passaggio successivo (1852), ma poi se ne perse ogni traccia. Il dato importante è che
    nel 1877 fu osservata una fitta pioggia meteorica (stelle cadenti), subito
    collegata da G. Schiaparelli con il transito della Terra in una zona molto prossima
    all'orbita originaria della cometa di Biela; tale evento si ripetè nel 1885 e
    l'interpretazione ipotizzata fu quella di una distruzione profonda del nucleo della
    cometa, i cui detriti si stavano disperdendo nello spazio.
 Molti eventi di questo tipo sono tuttora osservabili, come si può notare dalla seguente
    tabella:
 
      
        | Nome Sciame | Massimo | Cometa associata |  
        | Liridi | 21 Aprile | Thatcher (186 1I) |  
        | Eta Acquaridi | 5 Maggio | Halley (1910 II) |  
        | Draconidi | 26 Giugno | Pons-Winnecke (1858 II) |  
        | Beta Tauridi | 30 Giugno | Encke (1819 I) |  
        | Capricornidi | 1 Agosto | 1948 n |  
        | Perseidi | 12 Agosto | Swiff-Tuttle (1862 III) |  
        | Draconidi | 10 Ottobre | Giacobini-Zinner (1933 III) |  
        | Orionidi | 22 Ottobre | Halley (1910 II) |  
        | Tauridi | 1 Novembre | Encke (1819 I) |  
        | Leonidi | 16 Novembre | Tempel-Tuttle (1866 I) |  
        | Andromedidi | 22 Novembre | Biela (1852 III) |  
        | Ursidi (UMI) | 22 Dicembre | Tuttle (1858 I) | La terza causa della scomparsa di una cometa può identificarsi nella modifica
    dell'orbita, fatto che può comportare sia la possibile espulsione dal Sistema Solare,
    sia l'evento più traumatico di un impatto con un altro corpo celeste (fatto non così
    raro come può sembrare). La presenza di piccoli crateri perfettamente allineati (ne sono
    stati rinvenuti su Callisto, Ganimede e sulla Luna stessa) fu inizialmente interpretata
    come causata dalla ricaduta di materiale a seguito di un impatto di un grosso asteroide
    (avvenuto in modo radente per giustificare l'asimmetria della struttura), ma si
    evidenziavano spesso grosse difficoltà nell'identificazione del cratere primario, le cui
    dimensioni, tra l'altro, avrebbero dovuto essere tutt'altro che trascurabili. L'evento
    Shoemaker-Levy (luglio 1994) ha, però, fatto abbandonare quest'ipotesi facendo propendere
    per la distruzione di nuclei cometari provocata dallazione di marea del pianeta a seguito
    di un passaggio ravvicinato (entro il limite di Roche).Il calcolo del tasso di distruzione di comete da parte di Giove è stato affrontato da
    H.J. Melosh e P.Schenk, i quali hanno calcolato una media di un evento ogni 80 anni; hanno
    avanzato anche ipotesi riguardo alla Terra (un evento ogni 20 mila anni), ma in questo
    caso la statistica è ridotta a soli due casi rilevati sulla superficie del nostro
    satellite (Lamberti, 1996).
 E' recente l'annuncio della scoperta di una catena di crateri da impatto anche sulla
    Terra, in Ciad; i crateri sono stati scoperti grazie alle immagini radar del sistema
    Spaceborn Imaging Radar C/X-band Syntetic Aperture Radar installato a bordo dello Shuttle
    Endeavour nell'aprile e nell'ottobre 1994: le immagini rivelano appunto due nuovi crateri
    (da confermare con analisi del terreno) presso quelli già conosciuti e chiamati Aorounga
    nel nord del Ciad. L'identificazione di questi segni da impatto è però ancora soggetta
    ad indagini e non ha ancora ottenuto una conferma definitiva, anche se vi è già chi (A.
    Ocampo del J.P.L. e K. Pope del Geo Eco Arc Research) ipotizza per l'evento una datazione
    di 360 milioni di anni fa (epoca per altro interessata da una delle grandi estinzioni di
    massa che hanno caratterizzato la storia del nostro pianeta) (Caprara, 1996). Permangono
    comunque ancora molti dubbi circa l'origine cometaria in quanto il meccanismo di
    distruzione mareale funziona perfettamente anche nel caso di asteroidi non compatti,
    formati da più corpi tenuti assieme dalla reciproca gravità; l'unica differenza potrebbe
    essere individuata nelle dimensioni finali degli oggetti originatisi dalla disgregazione,
    che, nel caso di corpi asteroidali, potrebbero essere caratterizzati da dimensioni anche
    notevoli, mentre per i nuclei cometari si ritiene che i frammenti debbano avere dimensioni
    molto ridotte (i frammenti della Shoemaker-Levy caduti su Giove avevano diametro massimo
    di 2-3 km).
 Ma ritorniamo ad occuparci più in dettaglio dei meccanismi che possono modificare
    l'orbita originaria di una cometa.  Che i pianeti (soprattutto quelli di massa
    maggiore o più distanti dal Sole) potessero avere un ruolo importantissimo nella
    perturbazione delle orbite di altri corpi celesti era già stato supposto da P. S. de
    Laplace, il quale introdusse a questo proposito il concetto di sfera di attività,
    intendendo con questo termine quella sfera, concentrica al pianeta, entro la quale
    l'azione gravitazionale del Sole diventava inferiore a quella del pianeta stesso (il
    raggio della sfera di attività di un generico pianeta è dato dalla formula: RP= aP* (MP/MSol)2/5).
 Anche un calcolo approssimato della formula di Laplace ci permette di osservare come i
    pianeti di massa maggiore non siano automaticamente quelli più influenti: nel grafico
    riportato in Figura 12 si può notare infatti l'importanza che riveste Nettuno
    grazie alla sua enorme distanza dal Sole (4.5 miliardi di km).
 
  La
    perturbazione delle orbite è sempre stato oggetto di studio e di analisi (è l'irrisolto
    problema degli n corpi della Meccanica Celeste); nel caso delle comete, poi, la situazione
    perturbativa è notevolmente aggravata dall'esigua massa di questi corpi celesti. E'
    evidente che quanto più una cometa si avvicinerà alla sfera di attività di un pianeta,
    tanto più la sua orbita originaria potrà subire sostanziali modifiche. Questo,
    ovviamente, non significa automaticamente trasformazione di una cometa nuova (cioè che
    proviene per la prima volta dalla Nube di Oort o dalla Fascia di Kuiper) in una cometa a
    corto periodo, talvolta può comportare, anzi, l'immissione della cometa su un'orbita
    iperbolica o parabolica (con la conseguente espulsione dal Sistema Solare) oppure su una
    orbita di collisione con il Sole o con qualche altro pianeta (ed il citato impatto della
    Shoemaker-Levy 9 con Giove del luglio 1994 ne è un significativo esempio). La situazione dinamica illustrata nella Figura 13 (Maffei, I mostri del cielo,
    pag. 26, fig. 5) non è riferita ad alcuna cometa reale, ma mostra come dallorbita
    originaria la cometa si trasferisca su un'orbita differente e, conseguentemente, quella
    che in origine era la zona del perielio diventa, a seguito dell'azione del pianeta,
    l'afelio della nuova orbita.
 Se questa azione perturbatrice porta la cometa all'interno della zona planetaria del
    Sistema Solare è inevitabile che il meccanismo descritto in precedenza si possa ripetere
    con altri pianeti (Giove ha ora l'influenza maggiore) e si parla in questo caso di cattura
    graduale. Il meccanismo appena descritto genera per ogni pianeta perturbatore una
    famiglia di comete, tutte caratterizzate dagli afeli nei pressi dell'orbita del pianeta: a
    tal proposito la Figura 14 (Maffei, I mostri del cielo, pag.27, fig. 6)
    mostra le orbite di alcune comete appartenenti alla famiglia di Giove.
 
      
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        | Figura
        13 Meccanismo di cattura di una cometa da parte di un pianeta.
 | Figura 14 Orbite di alcune comete della famiglia di Giove.
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